Salta al contenuto principale

Aiutaci a migliorare il sito: rispondi al questionario

Parole latine e straniere nel linguaggio comune, tra prestiti e derivazioni

Come pronunciare ( e scrivere) i tanti termini latini che fanno parte del nostro linguaggio quotidiano? Medium o media? Curricula o curricoli? Iunior o Giunior?

Ci sono dei dubbi sulla pronuncia della parola medium, perché essendo di derivazione latina molti affermano che sia necessario pronunciarla alla latina: <medium> e al plurale <media>. Io sostengo invece che, pur derivando dal latino, è stato lasciato inalterato il guscio, il significante, ma ne è stato cambiato il contenuto, il significato, così mentre in latino significava soltanto “strumento”, è diventato, con o senza l’aggiunta della parola mass, “strumento di comunicazione di massa”, facendola diventare una nuova parola anglosassone.

Per cui, secondo me, va pronunciata alla maniera della lingua nella quale ha il significato voluto: se intendo “mezzo di comunicazione di massa” debbo pronunciarla all’inglese <midiam> e al plurale <midia>. Se intendo solo “strumento” la pronuncerò alla latina <medium> e <media>.

C’è anche chi dice media anche al singolare («è un media diffuso») e non ne capisco il perché. Anche in italiano abbiamo preso la parola medium e ne abbiamo cambiato il significato, facendola diventare “persona che mette in comunicazione - intermedia - i vivi con le anime dei morti”.

Quindi medium (strumento) e medium (sensitivo) sono due parole che si pronunciano allo stesso modo, ma sono due parole differenti, con significati differenti: una latina, l’altra italiana.

Stesso caso per "plus": in latino significa solo “più”, ma pronunciata all’inglese (<plas>) significa “un quid che qualcosa, un prodotto o qualcuno, ha in più rispetto alla concorrenza”.

Diverso è invece il caso di parole latine che, senza aver cambiato significato, vengono inspiegabilmente lette con la pronuncia inglese, come per esempio: stadium (<stedium>), mobile (<mobàil>), iunior (<giunior>), et cetera (<itsétera>).

Altro caso che dà spesso adito a discussioni è la parola curriculum.

L'Accademia della Crusca infatti dice:

«Anche la parola singola si afferma nell'uso nella forma invariabile, e nei vocabolari italiani è appunto annotata come sost. masc. inv. Sappiamo però che questo sostantivo in latino apparteneva al genere neutro per cui entrando nell'italiano ha subìto un passaggio di genere, venendo assimilato ai nomi maschili. Proprio questo passaggio di genere produce problemi e incertezze nel momento che si consideri la forma plurale, infatti, anche se esiste […]. Quindi la forma invariabile curriculum al plurale è ammessa, ma è più colta la forma latina curricula

E più avanti, sempre l'Accademia della Crusca, in una Nota di aggiornamento, scrive:

«Possiamo ulteriormente precisare, anche alla luce di quanto riportano alcuni importanti vocabolari dell’uso dell’ultimo decennio (in particolare Gradit, Vocabolario Treccani online, Zingarelli), che il ventaglio delle scelte possibili per il plurale continua a prevedere anche la forma invariabile curriculum. In questo caso la parola latina viene trattata come un qualsiasi forestierismo ormai radicato nella nostra lingua che ha perso, quindi, la sua originaria forma plurale (come avviene anche per latinismi “moderni” come, ad esempio, referendum). Fermo restando che è preferibile il plurale declinato curricula (che può essere talvolta avvertito come eccessivo sfoggio di cultura), le alternative del tutto accettabili sono curricoli, che non sembra tuttavia immediatamente disponibile a chi parla o scrive, e il plurale invariato curriculum, ormai largamente diffuso e quindi accettato.» http://www.accademiadellacrusca.it/.../plurale-curriculum


Sostengo che fra le lingue vi siano “prestiti” e “furti o appropriazioni”: prestiti quando si usano parole di altre lingue per sfoggiare cultura, credendo ad esempio che la lingua inglese sia più prestigiosa perché internazionale, anche quando ci si rivolge solo ad Italiani, come fanno spesso molti professionisti pubblicitari o del marketing o del web, ma anche a volte il Governo Italiano (question time, job act, school bonus, ecc.).

Si hanno invece furti o appropriazioni quando alla parola presa in prestito viene dato un nuovo significato: come spiegato prima, plus e medium hanno cambiato significato, sono quindi delle appropriazioni o furti e, come detto, vanno lette con la pronuncia della lingua che ne ha cambiato il significato.

In linguistica si distingue tra spostamento sull’asse diacronico, quando si usano termini di lingue di altri tempi, e sull’asse sincronico, quando si usano lingue contemporanee, come ad esempio la parola “stage” in uso sia nell’inglese sia nel francese, ma sostanzialmente con significato diverso.

Come scrive l’Accademia della Crusca:

«la forma stage (estage) affonda le proprie radici nel latino medievale di area francese: stagium facere» cambia il significato e «indica l’impiego temporaneo in una qualsiasi impresa, destinato a completare un insegnamento attraverso l’esperienza pratica» [...] Ma Stage «è giunta all’italiano attraverso la mediazione dell’inglese. Da qui sorge il problema della pronuncia in italiano: la maggioranza dei vocabolari suggerisce come preferibile la pronuncia francese, ma allo stesso tempo registra come ammissibile e frequente quella inglese. Se in Italia ci si può ragionevolmente attendere di essere compresi pronunciando stage sia alla francese sia all’inglese, è però sconsigliabile pronunciarlo all’inglese in Gran Bretagna; a meno che con ‘make a stage‘ non si voglia intendere, in un inglese a dire la verità approssimativo, ‘allestire un palcoscenico’. Se in Francia infatti lo stage è pressappoco un tirocinio (fatte salve le differenze legislative), in Gran Bretagna la stessa attività è indicata dal termine internship».

Quindi, se parliamo di una forma di apprendistato, è senz'altro preferibile la pronuncia francese <stàaˇ∫>, e non quella inglese (<stèiǧ> ) che significa palcoscenico o tappa. Si tratta, quindi di due parole differenti, anche se scritte allo stesso modo.