La Réclame in Puglia
Come comunicava l’impresa tra la fine dell’800 e gli anni ’30 del ’900
Testo di Pia De Liso e Antonio Dell'Aquila, dal catalogo della mostra La Réclame in Puglia, Bari 1993.
L'idea è stata quella di registrare l'uso e la relativa evoluzione della grafica pubblicitaria in un territorio lontano dai grandi insediamenti industriali. Lo studio degli oggetti ci permette anche di seguire la continua trasformazione della vita economica, sociale e culturale della Puglia: la pubblicità non è solo un muto testimone, ma spesso anche il motore propulsore di questa trasformazione.
Abbiamo distinto la réclame dalla pubblicità e ci sembra opportuno ricordare la differenza che intercorre fra i due termini. La parola "réclame", coniata in Francia e diffusasi velocemente nel resto dell'Europa, deriva dal latino "reclamare", cioè "chiamare, gridare, opporsi gridando". E chiaramente ricorda gli araldi, i banditori di piazza che, anticamente, comunicavano ed informavano nella maniera più comune a quei tempi.
Più recente - seppur risalente al '600 col significato di "rendere noto al pubblico o mettere in piazza" - il termine "pubblicità", anch'esso di origine latina, fu adottato nel linguaggio commerciale solo nel 1800 in coincidenza dell'espandersi e del consolidarsi della rivoluzione industriale.
I due termini, usati indifferentemente per un lungo periodo, oggi servono ad indicare due metodi differenti applicati alle tecniche della comunicazione d'impresa.
Empirica, spesso sostanzialmente affidata agli inizi del secolo all'estro creativo dei pittori cartellonisti, la réclame subì un totale cambiamento verso la fine degli anni '20, trasformandosi in "scienza che, ricercando e stabilendo i rapporti esistenti tra certi fenomeni di ordine fisico, psicologico ed economico, fissa le leggi e indica i mezzi più adatti per creare ai fini commerciali la notorietà di prodotti e servizi, stimola il desiderio e il bisogno di questi, e ne provoca e regola la domanda" (da Lorenzo Manconi, La pubblicità, Vallardi, Milano, 1956).
Questa mutazione, non certo casuale, è da far risalire alla stessa aumentata capacità industriale, che dopo la crisi seguita al primo conflitto bellico, aveva necessità di "piazzare" la maggiore produzione e di "spiazzare" la temibile concorrenza internazionale, con tecniche pubblicitarie più sofisticate e sempre più agguerrite.
Vale la pena ricordare che a Milano, alla fine dell'Ottocento, il tipografo Antonio Montorfano, intuendo il positivo sviluppo del cartellone pubblicitario, da poco approdato in Italia dai paesi del Centro Europa, aveva trasformato la sua piccola attività artigianale, dando vita ad una pionieristica agenzia, divenuta in seguito l'impresa Generale Affissioni Pubblicità ed attualmente nota come I.G.A.P.
Sempre a Milano, e sempre alla fine del secolo, la gloriosa Casa Ricordi cominciava a stampare, per conto di svariati ed importanti imprenditori, manifesti ed altro materiale grafico pubblicitario, ideati e realizzati nei suoi stabilimenti da artisti eccezionali che hanno fatto la storia del manifesto pubblicitario in Italia, fra i quali ricordiamo Adolfo Hohenstein, Leopoldo Metlicovitz, Aleardo Villa, Leonetto Cappiello, Marcello Dudovich.
La réclame "artistica" prendeva piede anche a Bologna, grazie allo stabilimento litografico di Edmondo Chappuis, a Genova con Armanino, a Torino con Doyen, a Bergamo con l'Istituto Italiano Arti Grafiche. Ovvie conseguenze di un'economia in grande espansione.
E in Puglia cosa succedeva alla fine del secolo scorso e agli inizi del nuovo? A quel tempo l'economia pugliese si basava essenzialmente sulla produzione ed il commercio di prodotti agricoli. Non mancano esempi di piccole industrie di trasformazione, ma nulla di paragonabile agli insediamenti industriali e alle attività commerciali dell'Italia centro-settentrionale.
Nonostante ciò, la necessità della réclame fu sentita anche dai nostri industriosi corregionali: lo evidenziamo chiaramente dal notevole reperimento di materiale selezionato in occasione di questa mostra. In prevalenza i commercianti, sovente essi stessi diretti fabbricanti di una limitata produzione a livello artigianale, o gli intraprendenti esportatori che avevano intrecciato rapporti internazionali nel settore agro-alimentare, ed anche i piccoli industriali si rivolsero alla réclame per conferire un certificato di qualità e di immagine ai loro prodotti.
Ma, in fondo, quali erano gli obiettivi che con questi mezzi si prefiggevano di raggiungere? Se analizziamo il contesto sociale in cui questa operazione si attua ed i mezzi adoperati, arriviamo alla personale conclusione che in fondo la réclame fu utilizzata in Puglia agli inizi del secolo più come simbolo rassicurante della posizione raggiunta, piuttosto che come mezzo attraverso il quale si potesse realizzare un maggiore sviluppo imprenditoriale.
Probabilmente contribuì a questo strano uso della réclame una certa situazione economica piuttosto statica e non certo in fase di grande sviluppo. Da una parte l'assenza di una forte concorrenza, determinata non tanto dalla mancanza di decisioni imprenditoriali, quanto più specificatamente dai modesti consumi; dall'altra l'abitudine al risparmio, diffusa anche nella classe dirigente abitualmente indirizzata ad investire nei valori tradizionali delle proprietà terriere ed edilizie, ed in questo imitata dalla piccola borghesia emergente, influirono non poco sulla evoluzione della pubblicità in Puglia.
Réclame usata quindi soprattutto come "status symbol" di appartenenza ad una determinata condizione sociale, quasi un certificato di promozione nella classe imprenditoriale tipo, e della quale non si intendevano stravolgere né le regole né le abitudini.
Ad avvalorare la nostra tesi contribuiscono le attraenti locandine cromolitografiche, edite a cavallo dei due secoli, usualmente denominate nel linguaggio dei collezionisti "affiches cartonate". Accuratamente eseguite da abili artigiani con elaborati procedimenti tecnici di stampa a rilievo e fustellatura, in piena armonia con il gusto tradizionale dell'epoca, non ci sembra che queste avessero il compito di suscitare desideri o nuovi bisogni, ma unicamente quello di avvalorare la conquista del potere commerciale e – perché no? – anche quello di testimoniare una certa maturità culturale, una raffinatezza del gusto, un'attenzione particolare alle novità.
Queste locandine, esposte trionfalmente sulla vetrina d'ingresso dell'esercizio, spesso donate in occasione delle feste natalizie ai clienti più assidui (e perciò a volte fornite anche di piccoli calendari aggiunti a bella posta), erano realizzate per la maggior parte nelle attive e rinomate stamperie tedesche. Il prodotto, originariamente anonimo, veniva successivamente personalizzato solo mediante la stampa dei dati del committente; per i più esigenti si poteva completare con un'immagine della città, uno spazio appositamente studiato e solitamente delimitato da fregi decorativi.
Lo stesso discorso vale anche per le rare locandine in latta litografata, rare perché il loro utilizzo era destinato esclusivamente a decorare i locali commerciali del diretto responsabile o di amici compiacenti, e quindi preparate in un numero limitato; le poche reperite, di fabbricazione italiana questa volta, sono anch'esse soggette allo stesso trattamento di personalizzazione: chiaro esempio è la presenza, in una di esse, di un fantasioso panorama montano in netto contrasto con il reale aspetto geografico del luogo di destinazione.
Più significative della realtà locale, anche se forse a prima vista meno attraenti, sono le varie testatine di fatture, lettere e buste commerciali, cartoline e cartoncini. In queste fanno bella mostra di sé austere e ordinate fabbriche brulicanti di fumose e svettanti ciminiere, in perfetta aderenza con gli stilemi dell'epoca che rapportavano la maggior produttività a garanzia di qualità e convenienza.
Talora questi messaggi erano rafforzati dalla presenza di un'elegante aquila, destinata a sorreggere un cartiglio pseudo-nobiliare, e spesso dall'aggiunta di un ricco medagliere, vero o fittizio, delle onorificenze riportate durante l'attività.
A volte, al decoro di queste carte commerciali veniva affidato anche il compito di guida stradale: una vera e propria piccola mappa da seguire per arrivare a destinazione. Ed ancora realtà e fantasia si mescolavano nella rappresentazione di carri da trasporto o di adiacenti linee ferrate che andavano ad aumentare il prestigio dell'intestatario, presentato, in tal modo, come un attivo industriale con relazioni extra-locali.
Quasi una sorpresa nel panorama grafico, piuttosto stereotipato, dei primi del secolo ci viene da una locandina, di modeste proporzioni, lontana dai tradizionali modelli ottocenteschi e decisamente impostata secondo le tendenze del nuovo stile liberty che in Italia proprio in quel periodo cominciava ad essere assimilato e reinterpretato, anche se non sempre con un esito così felice come nel nostro caso.
Parliamo del mini-manifesto, dai tenui colori – nonostante l'utilizzo del rosso e del verde – realizzato in occasione dell'Esposizione Generale del Lavoro, tenutasi a Bari nell'estate del 1907. Una leggiadra e pensosa fanciulla incornicia il capo di uno stanco lavoratore a torso nudo, mentre lo sfondo della città si confonde, scomparendo nella cornice armoniosamente ricurva. In questa iconografia, che finalmente rivela lo scopo autentico della réclame e cioè quello di attirare il maggior numero di visitatori ed espositori, la figura femminile è presente quale incarnazione dell'Arte, mentre l'uomo raffigura il Lavoro.
La nostra speranza di trovare in questa raffinata documentazione la testimonianza di un artista locale, essendo stata la stampa eseguita a Bari, è ancora una volta andata delusa. Infatti autore del disegno è il toscano Virgilio Faini, che a quel tempo collaborava alle illustrazioni del periodico socialista "Avanti della Domenica", insieme ai giovanissimi Cambellotti, Boccioni, Bompard, Libero Andreotti e tanti altri illustri esponenti dell'arte italiana del '900.
Una discreta produzione locale, a livello tipografico, la riscontriamo nel limitato repertorio della ditta Müller & Rainone, operante a Bari a cavallo del secolo; ed ancora nel capoluogo pugliese due presenze sempre attive ed all'avanguardia: l'antica Gius. Laterza & Figli che, nel campo delle fatture, buste e lettere commerciali intestate, ha lasciato, dagli inizi del '900 in poi, una lunga e poderosa traccia; e la più giovane ditta Favia, con una produzione coloratissima ed attraente.
Per quanto riguarda l'operato delle agenzie più propriamente reclamistico-pubblicitarie, considerando che questo genere di attività, intorno agli anni '20, era in piena crescita nel Nord Italia, dobbiamo riscontrare una scarsa presenza locale, perlomeno sino alla conclusione del periodo da noi esaminato e che coincide con la fine degli anni '30.
Eppure anche la Puglia era un territorio appetibile per quelle stesse agenzie centro-settentrionali: ce lo conferma la presenza dell'agenzia Atla di Bologna, che troviamo accostata, in una inserzione autopromozionale, all'enigmatico nome "Ergo" con sede in Bari, proprio alla fine degli anni '20. Da non confondere con l'agenzia Argo, pur essa di Bologna, ed alla quale si rivolse un certo numero di clienti pugliesi, come testimoniato da alcuni documenti.
Ed ancora dobbiamo ricordare l'attività pugliese della già citata IGAP, il cui direttore artistico fu, dal 1922 al 1936, l'intramontabile Marcello Dudovich. In una vecchia pubblicazione di questa prestigiosa agenzia milanese, riguardante anche la dislocazione delle sue succursali, riscontriamo che, nel 1922, Bari, Foggia e Napoli risultavano le uniche sedi per l'intero Meridione, Isole comprese: del collegamento con Bari abbiamo trovato fin’ora pochi ma splendidi esemplari, tutti a firma "Esperny", probabile pseudonimo di un artista non ancora identificato.
Alla fine della nostra ricerca – siamo ormai negli anni '30 – rintracciamo alcuni inserimenti significativi nel settore creativo della comunicazione d'impresa in Puglia.
Accanto a produzioni non locali, ma con un'impostazione grafica più attenta alle nuove tendenze artistiche, si afferma l'opera di Pasquale Scarano.
La sua grafica, in continua metamorfosi, è pronta ad interpretare gli stilemi dell'Art Deco nella spettacolare locandina per Mincuzzi, e qualche anno dopo ad aggiungere un tocco di futurismo nel disegno per la coppa "Di Crollalanza" organizzata dall'Automobile Club di Bari. Ed ancora a destreggiarsi abilmente nel confronto comparativo nella vasta ed interessante produzione pubblicitaria affidata dalla Fiera del Levante contemporaneamente a diversi e più famosi nomi: Giulio Cisari, Enzo Forlivesi (in arte Araca), Virgilio Retrosi, ed infine il maggior vanto di noi pugliesi, Gino Boccasile.
Purtroppo, con nostro grande rammarico, il contributo alla pubblicità pugliese di questo grande cartellonista barese è solo sporadico e successivo.
La nostra indagine, come già detto, si ferma alla fine degli anni '30; ci auguriamo che il nostro studio possa contribuire a diffondere una maggiore conoscenza sulla comunicazione d'impresa in Puglia: réclame-pubblicità probabilmente superficiale e poco efficace, ma forse è proprio questa sua disarmante ingenuità che la rende ancora attraente nonostante la sua vecchia età.

Pia De Liso e Antonio Dell'Aquila