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La lingua, le regole e la tecnologia

Può un banale errore di compilazione di un programmino accessorio modificare le regole della lingua italiana?

X-Press e la spezzatura delle parole

Il problema è noto a chi lavora nel mondo editoriale: l'estensione per la divisione in sillabe della lingua italiana per il programma di impaginazione Quark X-Press, il più diffuso attualmente a livello professionale, ha un errore: spezza in maniera errata alcune parole, come dis-agio, dis-prezzo, non-ostante. L'italiano, contrariamente ad altre lingue, per la divisione in sillabe (e quindi la divisione di una parola a fine riga) non si basa sulla regola della composizione etimologica, ma su quella fonetica. Le sillabe finiscono là dove può posizionarsi un accento (quindi su una vocale), e solo in presenza di due o più consonanti - e solo in alcuni casi - una di queste si lega alla sillaba precedente. La regola, anche in questo caso, è fonetica: una sillaba non può cominciare con un gruppo consonantico non presente all'inizio di nessuna parola italiana. Poiché non esistono in italiano parole comincianti per doppia "S" (sarebbero impronunciabili), sasso si divide sas-so; dal momento che esistono invece parole che cominciano per "str" (strambo), avremo a-stra-zio-ne.

Che queste regole da scuola elementare vengano poi dimenticate è triste, sì, ma non così grave: nei casi più dubbi, si può sempre consultare un buon vocabolario. Quello che è grave, secondo me, è che comincia a diffondersi l'abitudine a non considerare questo un errore di stampa al pari di un qualunque refuso ( probelma al posto di problema ), forse perché, per chi ha dimenticato la regola è più semplice pensare che la regola non esista. E tutto questo solo per un banale errore di un programmatore!

Gli errori dei correttori automatici

Si può guardare anche il problema da un'altra angolazione; c'è chi pensa che basti saper usare i programmi del computer per acquisire automaticamente un "saper fare"; i programmi sono ottimi ausili, ma poco utili senza la competenza di base. Basti pensare, restando in tema, al sistema di correzione automatica incorporato in alcuni programmi di videoscrittura. Utile per alcuni versi (evidenzia l'errore di battitura), a volte si mette a correggere in automatico (e senza che ve ne accorgiate) anche parole digitate correttamente, semplicemente perché non sono nel suo vocabolario. Un esempio tipico riguarda i cognomi: se incontra, per esempio, quello del professor Luraghi, lo trasforma subito in "Nuraghi".

Se poi passate il testo al correttore ortografico e grammaticale, è assai probabile che vi segnalerà errori assolutamente inesistenti, vi proporrà cambiamenti che invece ne introducono, o correzioni che vanno esattamente nel senso contrario delle norme redazionali più diffuse. Insomma, un disastro, che può essere utile solo a patto che si usi la funzionalità con un altro punto di vista: rileggere il testo con occhio straniante, conoscendo i limiti del programma, soffermandosi sui punti critici e accettando le correzioni suggerite solo dopo averle valutate attentamente. Ma per far questo, appunto, è necessario conoscere le regole dell'ortografia, della grammatica e della sintassi; se non è così, meglio sbagliare di testa propria, che per colpa di un computer!

Accenti e apostrofi

Un altro errore che va diffondendosi è l'uso dell'apostrofo al posto dell'accento e viceversa.

Scrive Vera Gheno, dell'Accademia della Crusca:

La sostituzione delle lettere accentate con il digramma lettera+apice è una caratteristica rintracciabile in tutti i tipi di CMC, ovvero Comunicazione Mediata dal Computer (dall'inglese Computer-Mediated Communication): posta elettronica, gruppi di discussione, chat line nonché testi che compaiono sui siti Web. Tale costume grafico potrebbe sembrare incomprensibile; tuttavia, in questo contesto, esso ha una giustificazione pratica.
La scelta di sostituire le lettere accentate con una combinazione di due caratteri semplici contigui nasce dal fatto che tutte le lettere dotate di segni diacritici (accenti, dieresi, cediglia, ecc.) non rientrano nel set-base di caratteri alfanumerici, cioè nei 128 caratteri che, secondo il primo standard ASCII (American Standard Code for Information Interchange, 'codice americano standard per lo scambio di informazioni'), la cui elaborazione iniziò negli Stati Uniti nel 1963, sono decodificati correttamente da ogni computer, indipendentemente dalla sua configurazione. Tutti i caratteri che non fanno parte di questo gruppo possono non venire riconosciuti da una macchina: in tale caso, l'utente non visualizzerà sul proprio PC il carattere "incriminato".
[...]
In seguito, la codifica fu ampliata a 8 bit, arrivando a 256 posizioni. Le nuove 128 posizioni disponibili furono utilizzate (in maniera diversa da ogni paese) per una serie di lettere e simboli non compresi tra i primi 128 caratteri. Le lettere accentate dell'italiano fanno parte di questa codifica, definita ASCII estesa.
Per non incorrere nei citati problemi di decodifica, chi comunica abitualmente attraverso il computer evita quanto più possibile l'uso dei caratteri estesi: nel caso dell’italiano, le lettere accentate vengono sostituite dalla combinazione della lettera semplice corrispondente seguita da un apice.
Ovviamente, quanto finora detto si applica alla comunicazione via computer. [...] tali usi si estendono ben oltre a questo ambito: non è infatti raro ormai trovare l'apice in sostituzione dell'accento anche in contesti esterni alla CMC, come didascalie televisive, articoli di giornale e simili. Lo stesso fatto è stato notato da Paolo D'Achille: "e', perche', verita' sono grafie tutt'altro che rare nelle scritture burocratiche, [...] nei sottotitoli televisivi, ecc."(2002).
[...] preoccupante è l'attuale tendenza a sostituire i caratteri accentati con il digramma lettera+apostrofo in qualsiasi tipo di testo, sia per interferenza con le scritture informatiche che per manifesta pigrizia, visto che le minuscole accentate dell'italiano in realtà sono tutte presenti sulla tastiera.
Nel circolo vizioso che si produce, da una parte si perde la capacità di distinguere tra accento grave e acuto (ed ecco un fiorire di perchè, poichè, giacchè) e apostrofo (e così si trova talvolta scritto pò [perfino il correttore ortografico dei cellulari di una notissima marca suggerisce tale grafia...]), e dall'altra, per dissimulare tale incertezza, si aboliscono da qualsiasi testo le situazioni problematiche.
Bisognerebbe ricordarsi che questo peculiare costume linguistico ha una ragione di esistere solo in un suo contesto specifico: se "esportato" da tale contesto, non diventa altro che una marca di pressappochismo.

A questo aggiungo che, proprio per porre rimedio all'insana abitudine di digitare lettera + apostrofo, in alcune redazioni giornalistiche sono stati adottati sistemi di correzione automatica, che trasformano sempre in lettera accentata il digramma lettera+apice, col risultato però, in alcuni casi, di generare errori quando la grafia corretta è proprio lettera+apostrofo.

Non sarebbe più semplice insegnare ai giornalisti a scrivere correttamente?

La lingua si evolve

Qualcuno, a questo punto, potrebbe obiettare: la lingua si evolve. Vero. Sicuramente non parliamo più la lingua di cent'anni fa. Abbiamo centinaia di parole nuove, per indicare oggetti o idee o comportamenti nuovi; molte di essere sono importate dall'inglese o da altre lingue. Non mi meraviglierebbe se, fra qualche anno, diventasse comune una locuzione araba, che comincia a sentirsi nei nostri mercati (io l'ho sentita a Milano), e che ha dato il titolo a film scandinavo di qualche anno fa: Jalla, jalla! (un'esortazione a fare in fretta, corrispondente all'incirca al napoletano ampress, ampress).

D'altronde, la nostra lingua si evolve insieme alla storia del nostro paese. Ma cosa c'entrano gli errori di uno staff di programmatori con la Storia?