Gloria Tranchida. La nevrosi rituale della città identitaria e l’etica veritativa dell’arte
Da 22 Gennaio 2022 - 17:00 a 05 Febbraio 2022 - 17:00
Città: Canale Monterano (RM)
Indirizzo:
Corso della Repubblica 50
Canale MonteranoRM
Italia
Sito web: https://www.accademiapoesiart…
L’Accademia Internazionale di Significazione Poesia e Arte Contemporanea, in convenzione formativa con l’Università degli Studi di Roma Tre, accreditata dalla Regione Lazio, iscritta all’albo di Roma Capitale e del Comune di Canale Monterano e promossa dall’Istituto Italiano di Cultura di New York, presidente fondatrice la prof.ssa Fulvia Minetti, vicepresidente il dott. Renato Rocchi, direttore artistico Antonino Bumbica, inaugura la mostra di Gloria Tranchida alla Galleria Accademica d’Arte Contemporanea della Città d’Arte Canale Monterano di Roma in Corso della Repubblica n.50 il 22 gennaio 2022 alle ore 17.00, aperta al pubblico fino al 5 febbraio 2022 con ingresso gratuito.
Gloria Tranchida nasce a Roma nel 1959; dopo la maturità al Liceo Classico, si laurea con lode in Chimica e dal 1995 frequenta per tre anni i corsi di pittura dell'Accademia di Arti Decorative S.Giacomo di Roma.
Dal 2005 espone le sue opere in gallerie di arte contemporanea e in eventi legati all'ambiente e al riciclo. Nel 2013 apre a Roma E.Co.Point uno spazio espositivo per artisti indipendenti dedicato all’Arte Contemporanea e Ambientale, per mostre su tematiche ambientali e di ecosostenibilità di cui è tuttora organizzatrice (www.ECoPoint.biz). Nel 2017 fonda con amici artisti operanti nella Tuscia il collettivo CoALa (Collettivo Artisti del Lago); vive a lavora a Tevignano Romano. Da sempre Gloria Tranchida ha dedicato il suo lavoro artistico alla denuncia ambientale, che, come chimico, ha anche approfondito e studiato dal punto di vista scientifico. Ha iniziato ad esporre nel 2005 unendosi alla corrente degli artisti del riciclo, con un upcycling della carta e del cartone, finalizzato a valorizzare con oro e metalli i materiali di scarto provenienti dai rifiuti, per sottolineare quanto essi siano preziosi.
Le opere sono raccolte in collezioni in catalogo: “Environment”, esposta in una personale alla VAM Design Gallery di Budapest nel 2008, dedicata ai temi dell’inquinamento ambientale; “Rifili”, presentata a Roma nel 2013, dedicata ai rifiuti industriali e ad alcuni tra i principali disastri ambientali da essi provocati; “Leonia e le città invivibili” presentata a Roma nel 2014, in omaggio alla città invisibile di Italo Calvino e dedicata alle città divenute invivibili per problemi di inquinamento; “City” e “Prussian Blue - dieci paesaggi avvelenati”. Sono in corso d’opera le collezioni “Delirio urbano”, “Climate Change” e una serie ad olio sul tema dei borghi abbandonati e lo sfruttamento del territorio. Numerose sono le mostre personali, le collettive, le pubblicazioni, riceve la selezione del Premio "Del Residu a l'Art" a Barcellona e l’opera "Solare" è acquisita dalla collezione della V.A.M. Design Gallery di Budapest.
“Il linguaggio minimalista della Tranchida circonda ed esacerba una prospettiva dell’abitudine ambientale e ricorda che ambiente esterno ed interiore sono stretti nel desolato esiziale abbraccio di una medesima sostanza, a stento sopravvissuta alla cecità degli usi di vita.
L’artista rappresenta il sostrato comune della vita umana e naturale con la carta, il continuum della pelle psichica della riflessione dell’uomo con la pelle viva del mondo, nell’atto che la ricicla dall’oblio del rifiuto e del rimosso dell’inconscio, dallo stato di nigredo, di smembramento indifferenziato della materia, che viene chiamata alla trasmutazione alchemica, dalla morte alla rigenerazione, alla risurrezione della coscienza, per distillazione dell’oro filosofale, dell’essenza spirituale della saggezza, che dispiega nuove prospettive sulle cose. L’artista espone così, in sinestesia con la carta, la nostra nuda sensibilità respiratoria ed epidermica e la nostra diretta verità cosciente agli ossidi di azoto (NOx) prodotti emessi durante la combustione di riscaldamento, di motori, di attività termoelettriche, inquinanti l'atmosfera.
Il riciclo della carta non è così legato solamente al tema ambientale, ma anche ad un’etica della verità: il già detto torna sempre a proporsi come ancora da dire.
I paesaggi dell’artista sono in bianco e nero, in alchemica denuncia dello stato in nigredo, di mortificazione della natura che, come una fenice, è costretta quotidianamente a rinascere in breve albedo dalle proprie ceneri. Le linee di forza di progetto della vita vegetale sono orizzontali e a cenni verticali, non c’è la linea curva della fillotassi, non risuona il luogo della melodia di accomodamento armonico e vitale all’atmosfera ambientale.
I giardini sono pensili e l’intenzione intitolante è resa dall’artista al termine inglese “hanging”, lo stesso fatalmente impiegato per l’atto d’impiccagione, nella figurazione di una degenerante verticalizzazione della naturale dimensione orizzontale, che urbanizza l’elemento terrestre in una sorta di astrazione metafisica, le cui note di giallo sono la geometrica disillusione della floreale e fertile sinestesia pollinica, per le mordenti tinte infauste del cromo esavalente. Sono note mute di un’alba mendace, specchi ingannatori per le allodole, flavente bistro cosmetico, ferale tavolozza delle attività industriali metallurgiche, che deposita cereo sul terreno dei campi, con effetti tossici e cancerogeni.
Il punto di fuga accelera e serra l’occhio del lancio di prospettiva nella direzione rettilinea della strada, a figurare la dimensione lineare del tempo della vita moderna, lontano dal tempo circolare della vita agreste, un tempo i cui istanti figli pascono dei padri, un tempo senza passato, che incolla all’illusione d’infinita perfettibilità del progresso tecnico-scientifico e che l’artista denuncia nella sua costitutiva giallastra corruttibilità, che depaupera il divenire, quando non si nutra della curvatura di senso di un eterno ritorno all’essere, di una rigenerazione naturale di vita, a vincere la vacuità di un presente di perdita.
Il delirio urbano è la letterale rappresentazione dell’uscita degenerante dall’equilibrio di scambio del confine identitario: è la fragile barriera della coscienza che cede sotto i colpi del rimosso inconscio. La costituzione della città contemporanea è profondamente legata alla costituzione contemporanea dell’identità individuale, incentrata sulla nevrotica medesimezza parmenidea dell’identificazione idealizzante e troppo facilmente incline a scotomizzare ogni eracliteo divenire, che si leghi all’alterità e alla temporalità. Il meccanismo di difesa di mantenimento dello status quo apparente di una mendace perfezione egoica, asettica e atemporale è la rimozione della differenza, l’allontanamento del rifiuto a dispetto di una metamorfosi reintegrativa sempre possibile. Finanche le scorie nere dell’acciaieria sarebbero impiegabili nei laterizi di un’edilizia sostenibile. Eppure, la differenza residuale incute l’horror vacui della morte, che l’uomo ingannevolmente esorcizza con l’allontanamento e l’oblio della diversità del nero, che tuttavia ritorna sempre e con maggior veemenza.
Il monito della Tranchida è rivolto allora all’abitudine, al temibile “non sapere di sapere” che arrocca città e identità sulla nevrosi rituale difensiva della falsa certezza autofondante di una coscienza adusa, che non vuole vedere e che in cecità getta via, pensando erroneamente così ad una catarsi purificatoria dalla corruzione della differenza, non certo ascrivendo ad essa il giusto valore della metamorfosi creativa e del senso stesso dell’identità, ma imputando ad essa, proiettivamente, la colpa, il peccato, il divenire di morte. Questa è la scelta contemporanea del non agire, che incorre inesorabilmente nell’essere agiti: nel ritrovarsi il complemento oggetto dell’ira del residuo dimenticato.” (Critico d’arte prof.ssa Fulvia Minetti)
Gloria Tranchida nasce a Roma nel 1959; dopo la maturità al Liceo Classico, si laurea con lode in Chimica e dal 1995 frequenta per tre anni i corsi di pittura dell'Accademia di Arti Decorative S.Giacomo di Roma.
Dal 2005 espone le sue opere in gallerie di arte contemporanea e in eventi legati all'ambiente e al riciclo. Nel 2013 apre a Roma E.Co.Point uno spazio espositivo per artisti indipendenti dedicato all’Arte Contemporanea e Ambientale, per mostre su tematiche ambientali e di ecosostenibilità di cui è tuttora organizzatrice (www.ECoPoint.biz). Nel 2017 fonda con amici artisti operanti nella Tuscia il collettivo CoALa (Collettivo Artisti del Lago); vive a lavora a Tevignano Romano. Da sempre Gloria Tranchida ha dedicato il suo lavoro artistico alla denuncia ambientale, che, come chimico, ha anche approfondito e studiato dal punto di vista scientifico. Ha iniziato ad esporre nel 2005 unendosi alla corrente degli artisti del riciclo, con un upcycling della carta e del cartone, finalizzato a valorizzare con oro e metalli i materiali di scarto provenienti dai rifiuti, per sottolineare quanto essi siano preziosi.
Le opere sono raccolte in collezioni in catalogo: “Environment”, esposta in una personale alla VAM Design Gallery di Budapest nel 2008, dedicata ai temi dell’inquinamento ambientale; “Rifili”, presentata a Roma nel 2013, dedicata ai rifiuti industriali e ad alcuni tra i principali disastri ambientali da essi provocati; “Leonia e le città invivibili” presentata a Roma nel 2014, in omaggio alla città invisibile di Italo Calvino e dedicata alle città divenute invivibili per problemi di inquinamento; “City” e “Prussian Blue - dieci paesaggi avvelenati”. Sono in corso d’opera le collezioni “Delirio urbano”, “Climate Change” e una serie ad olio sul tema dei borghi abbandonati e lo sfruttamento del territorio. Numerose sono le mostre personali, le collettive, le pubblicazioni, riceve la selezione del Premio "Del Residu a l'Art" a Barcellona e l’opera "Solare" è acquisita dalla collezione della V.A.M. Design Gallery di Budapest.
“Il linguaggio minimalista della Tranchida circonda ed esacerba una prospettiva dell’abitudine ambientale e ricorda che ambiente esterno ed interiore sono stretti nel desolato esiziale abbraccio di una medesima sostanza, a stento sopravvissuta alla cecità degli usi di vita.
L’artista rappresenta il sostrato comune della vita umana e naturale con la carta, il continuum della pelle psichica della riflessione dell’uomo con la pelle viva del mondo, nell’atto che la ricicla dall’oblio del rifiuto e del rimosso dell’inconscio, dallo stato di nigredo, di smembramento indifferenziato della materia, che viene chiamata alla trasmutazione alchemica, dalla morte alla rigenerazione, alla risurrezione della coscienza, per distillazione dell’oro filosofale, dell’essenza spirituale della saggezza, che dispiega nuove prospettive sulle cose. L’artista espone così, in sinestesia con la carta, la nostra nuda sensibilità respiratoria ed epidermica e la nostra diretta verità cosciente agli ossidi di azoto (NOx) prodotti emessi durante la combustione di riscaldamento, di motori, di attività termoelettriche, inquinanti l'atmosfera.
Il riciclo della carta non è così legato solamente al tema ambientale, ma anche ad un’etica della verità: il già detto torna sempre a proporsi come ancora da dire.
I paesaggi dell’artista sono in bianco e nero, in alchemica denuncia dello stato in nigredo, di mortificazione della natura che, come una fenice, è costretta quotidianamente a rinascere in breve albedo dalle proprie ceneri. Le linee di forza di progetto della vita vegetale sono orizzontali e a cenni verticali, non c’è la linea curva della fillotassi, non risuona il luogo della melodia di accomodamento armonico e vitale all’atmosfera ambientale.
I giardini sono pensili e l’intenzione intitolante è resa dall’artista al termine inglese “hanging”, lo stesso fatalmente impiegato per l’atto d’impiccagione, nella figurazione di una degenerante verticalizzazione della naturale dimensione orizzontale, che urbanizza l’elemento terrestre in una sorta di astrazione metafisica, le cui note di giallo sono la geometrica disillusione della floreale e fertile sinestesia pollinica, per le mordenti tinte infauste del cromo esavalente. Sono note mute di un’alba mendace, specchi ingannatori per le allodole, flavente bistro cosmetico, ferale tavolozza delle attività industriali metallurgiche, che deposita cereo sul terreno dei campi, con effetti tossici e cancerogeni.
Il punto di fuga accelera e serra l’occhio del lancio di prospettiva nella direzione rettilinea della strada, a figurare la dimensione lineare del tempo della vita moderna, lontano dal tempo circolare della vita agreste, un tempo i cui istanti figli pascono dei padri, un tempo senza passato, che incolla all’illusione d’infinita perfettibilità del progresso tecnico-scientifico e che l’artista denuncia nella sua costitutiva giallastra corruttibilità, che depaupera il divenire, quando non si nutra della curvatura di senso di un eterno ritorno all’essere, di una rigenerazione naturale di vita, a vincere la vacuità di un presente di perdita.
Il delirio urbano è la letterale rappresentazione dell’uscita degenerante dall’equilibrio di scambio del confine identitario: è la fragile barriera della coscienza che cede sotto i colpi del rimosso inconscio. La costituzione della città contemporanea è profondamente legata alla costituzione contemporanea dell’identità individuale, incentrata sulla nevrotica medesimezza parmenidea dell’identificazione idealizzante e troppo facilmente incline a scotomizzare ogni eracliteo divenire, che si leghi all’alterità e alla temporalità. Il meccanismo di difesa di mantenimento dello status quo apparente di una mendace perfezione egoica, asettica e atemporale è la rimozione della differenza, l’allontanamento del rifiuto a dispetto di una metamorfosi reintegrativa sempre possibile. Finanche le scorie nere dell’acciaieria sarebbero impiegabili nei laterizi di un’edilizia sostenibile. Eppure, la differenza residuale incute l’horror vacui della morte, che l’uomo ingannevolmente esorcizza con l’allontanamento e l’oblio della diversità del nero, che tuttavia ritorna sempre e con maggior veemenza.
Il monito della Tranchida è rivolto allora all’abitudine, al temibile “non sapere di sapere” che arrocca città e identità sulla nevrosi rituale difensiva della falsa certezza autofondante di una coscienza adusa, che non vuole vedere e che in cecità getta via, pensando erroneamente così ad una catarsi purificatoria dalla corruzione della differenza, non certo ascrivendo ad essa il giusto valore della metamorfosi creativa e del senso stesso dell’identità, ma imputando ad essa, proiettivamente, la colpa, il peccato, il divenire di morte. Questa è la scelta contemporanea del non agire, che incorre inesorabilmente nell’essere agiti: nel ritrovarsi il complemento oggetto dell’ira del residuo dimenticato.” (Critico d’arte prof.ssa Fulvia Minetti)