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2. Regole ortografiche

2.1 Accenti e apostrofi

Osservate la frase seguente: "c'è ancora cera o non ce n'è più?". Accenti e apostrofi sono al posto giusto? Siete sicuri? Bene: in effetti, la frase è scritta correttamente.
"E l'apostrofo dove lo metto?" ci si chiede spesso quando ci si trova di fronte a frasi con c'è e ce n'è. Ecco un trucco per dissolvere ogni dubbio: al posto di "è" provate a mettere "era": se la frase ha senso (non si riferisce più al presente, ma al passato, ma ha senso compiuto) allora si tratta di è verbo ed è preceduta dall'apostrofo.

Ricordate, si scrivono senza apostrofo: qual è, nessun uomo (ma: nessun'altra).

Alcuni monosillabi possono avere l'apostrofo, da non confondersi con l'accento:

  • po' (=poco);
  • mo' (=modo)
  • va' (=vai, imperativo di andare);
  • fa' (=fai, imperativo di fare);
  • sta' (=stai, imperativo di stare).

L'accento giusto

In italiano gli accenti sono sostanzialmente di due tipi: acuto e grave (il circonflesso è in disuso). Nella lingua parlata, la e e la o possono avere un accento acuto (chiuso) o grave (aperto). Nella lingua scritta, però, gli accenti si mettono solo sulle parole tronche, a meno che non si voglia segnare la corretta dizione. E fra le parole tronche, solo quelle che terminano con la e possono avere accento grave o acuto. Le altre vocali hanno sempre accento grave (per fortuna, sulla tastiera italiana trovate solo quelle!). Solo poche parole hanno l'accento grave sulla e; le più comuni sono: la è verbo e il suo composto cioè; le parole , caffè, piè, ahimè, lacchè; i nomi Giosuè e Mosè.

Negli altri casi, l'accento è sempre acuto (perché, poiché, finché, ventitré, ecc.)

Ma sui monosillabi l'accento va o non va? La risposta è: dipende.
La regola generale è che se la parola ha un solo significato (per esempio: qui, qua, va) l'accento non va mai. Se la parola può avere due significati, l'accento serve a distinguerli.
E allora:
- Luisa (verbo) da (preposizione) mangiare ai gatti.
- Il (sostantivo) di (preposizione) festa.
- Abito lì/là (avverbio di luogo) e la/li (pronome personale) vedo ogni mattina.
- Giornali? Non ne (pronome partitivo = 'di essi') compro più, (congiunzione negativa) li leggo.
- A certe proposte si (pronome) dice sempre di (avverbio).
- Marco dice che (congiunzione) verrà a prendere i libri che (pronome relativo) ti ha prestato, ché (congiunzione casuale, = perché) gli servono per l'esame. [La frase è solo un esempio. Sconsiglio vivamente di usare tante volte il che, pur nei suoi molteplici significati, all'interno di una stessa frase.]
- Se (congiunzione ipotetica) lui fosse in (pronome personale).
Eccezione: in compagnia di 'stesso/a/e/i' o 'medesimo/a/e/i' l'accento, generalmente, si omette. Quindi = Pensano solo a se stessi.

Come si scrive menu

Perché menu si scrive senza accento? Poiché è parola francese, ormai entrata in uso comune; come non si cambia l'ortografia delle parole inglesi entrate nell'uso comune (e infatti scriviamo business anziché bisnis), lo stesso vale per il francese, anche per gli accenti (come nella parole élite, che si pronuncia elìt).
Ecco perché menu si scrive correttamente senza accento.

Non hanno mai l'accento: su, qui, qua, va, do, fa, sta, blu, pro.

Come potete vedere, do e fa, intesi sia come verbi, sia come note musicali, non hanno mai l'accento.

Una caso particolare è rappresentato dal troncamento di frate davanti a nomi propri (fra Cristoforo): la scrittura più corretta è senza apostrofo, ma  il Devoto-Oli riporta anche le grafie con apostrofo (fra') e con accento (frà).

Riporto qui un utile messaggio apparso nel forum dell'Accademia della Crusca, firmato Marco1971:

Apocope e elisione
L'apocope (dal greco apokopé, composto di apó 'da' e kopé 'taglio' - da kóptein 'tagliare', di origine indeuropea) è il troncamento in fine di parola, che può interessare sia una sola vocale, sia un'intera sillaba; l'elisione (derivato dal latino elidere 'spingere fuori') è la soppressione di vocale finale di parola davanti a vocale iniziale. La distinzione è importante soprattutto per quanto riguarda l'uso dell'apostrofo. Trascrivo da Come parlare e scrivere meglio, diretto da Aldo Gabrielli: "Come distinguere il troncamento [=apocope] dall'elisione? Chiunque si accorge che una parola 'troncata' si può pronunciare da sola conservando il suo significato; io posso dire: 'signor, cavalier, nobil, castel, fiorir, fuggir, buon, cantiam, insiem'; mentre non posso dire: 'l', dell', sant', senz'', eccetera. [...] Si prende la parola della quale non siamo ben sicuri che sia uscita raccorciata in seguito a troncamento oppure a elisione (p. es.: 'fior', nell'espressione 'fior alpestre') e la si colloca così accorciata davanti a una parola che comincia con consonante ('fior campestre'): se la parola può restare anche in questa nuova collocazione, vuol dire che si tratta di troncamento. Dunque 'fior' non vuole l'apostrofo. Prendiamo adesso l'espressione 'buon'anima'; facciamo la medesima operazione, mettiamo 'donna' al posto di 'anima' e domandiamoci: si può dire 'buon'donna'? Evidentemente no, risponderemo. Dunque, buon' è elisione, non troncamento, e in tal caso ci vuole sempre l'apostrofo."
Per questa ragione è preferibile la forma "qual è" senza apostrofo, perché si può dire "qual giorno", ecc.

2.2 Prefissi e composti

Normalmente il prefisso viene unito al nome cui si riferisce, senza trattino (ma non è errato usarlo). Fa eccezione il prefisso ex che resta parola a sé (e va scritto sempre senza trattino).
es.: vicepresidente, neoclassico, ipoglicemico, neo-liberismo;
ex moglie, ex deputato.

Al di là e Aldilà

Non si tratta di due modi diversi di scrivere la stessa parola. L'Aldilà è il regno dei morti. Al di là è un avverbio: al di là delle polemiche, al di là dei monti...
Quindi, attenti a non confondervi!