Chiama a Francesco!
Ho fatto leggere le frasi che seguono ai miei studenti chiedendo loro se le ritenevano corrette o no.
"Quello che a me stupisce abbastanza, e che mi sembra al di fuori di uno standard di normalità giudiziaria, è il mancato riconoscimento (agli imputati) delle attenuanti generiche."
"La Rowling ha tirato fuori un libro che a me ha entusiasmato."
"Il commissario Loi è convinto inoltre che il consumatore avrebbe nei riguardi del formaggio Ogm la stessa diffidenza che prova per i prodotti che gli vengono offerti dal mercato ortofrutticolo: 'A me convince di più l'idea di ottenere qualcosa di utile per la salute'."
"Chiama a Francesco e digli che a me il suo comportamento convince poco."
"Il presidente, di fronte a un'iniziativa che ha sempre giudicato inopportuna, ha dichiarato: 'A me colpisce la totale incapacità dell'opposizione di mantenersi coerente con le regole del gioco che essa stessa ha sempre propugnato'."
"A me fa rabbrividire l'audacia di chi pensa di poter riscattare una vita di infamie con un semplice colpo di spugna."
Naturalmente tutti hanno segnalato, tra risatine e boutade antimeridionalistiche, "Chiama a Francesco", ma pochi hanno stigmatizzato le altre frasi, che contengono tutte un errore analogo. Qual è?
I verbi "stupire", "entusiasmare", "convincere", "chiamare", "colpire" si costruiscono con il complemento oggetto e non con il complemento di termine. Io dico "Ho stupito mio figlio battendolo a Monopoli", e non "Ho stupito a mio figlio battendolo a Monopoli". Dico "Ho convinto il sovrano a non scendere in guerra", e non "Ho convinto al sovrano a non scendere in guerra". Dico "Le vacanze hanno entusiasmato mia moglie", e non "Le vacanze hanno entusiasmato a mia moglie". Dico "Chiama Francesco!" e non "Chiama a Francesco!"; dico "Colpisco la volpe con la freccia", e non "Colpisco alla volpe con la freccia". Dico, infine, "Il freddo faceva rabbrividire la piccola fiammiferaia", e non "Il freddo faceva rabbrividire alla piccola fiammiferaia". Ecco quindi che non posso dire "A me questa cosa non convince", o "A me questa cosa entusiasma". È proprio come dire "A Francesco lo chiamo più tardi."
La diffusione di questo errore di sintassi (costruire un verbo con un complemento improprio) è talmente alta e stratificata che coinvolge tutti, indipendentemente dalla cultura e dal livello, dal tono del discorso. Ho tratto gli esempi da giornali quali il "Corriere della Sera" e "la Repubblica", e da verbali della Camera dei Deputati.
Ma da cosa nasce questo errore sintattico così diffuso? E perché, a volte, tendiamo a non accorgercene?
A questa seconda domanda si può rispondere, penso, piuttosto facilmente. Il tono paludato delle frasi ci svia, ci inganna e, dato che stiamo costruendo una frase in modo retorico e complesso, mettendo prima i complementi, poi i verbi, e infine i soggetti, siamo indotti a farci abbagliare dall'artificiosità della costruzione e finiamo per non porre attenzione alla sua correttezza. Siamo tutti dei piccoli Renzi davanti a don Abbondio che ci infinocchia con il suo latinorum . Solo se lo stesso errore ci viene presentato in un contesto piano, semplice come "Questa tua decisione non convince a mio padre", allora ce ne rendiamo conto.
Quanto alle motivazioni dell'errore, si possono formulare alcune ipotesi. Una che ne compendia alquante è la seguente. Abbiamo nella testa un modello forte e corretto su cui tendiamo a costruire tutte le frasi che esprimono un gradimento o un rifiuto: è il modello del verbo "piacere", che si costruisce con il complemento di termine e utilizzando il quale esiste equivalenza tra la forma "mi piace" e quella "a me piace" (un'equivalenza che nasce dal fatto che la forma atona del pronome personale di prima e seconda persona singolare e plurale "mi", "ti", "ci", "vi", vale sia per il complemento oggetto sia per quello di termine).
Influenzati da questa equivalenza "mi piace = a me piace", siamo portati a estenderla a tutti i verbi che esprimono gradimento o rifiuto, anche a quelli in cui il pronome personale atono non esprime un complemento di termine ma un complemento oggetto ("mi piace = piace a me" ma "mi ama = ama me "). Ecco, insomma che facciamo di tutta l'erba un fascio e trasformiamo il mi complemento oggetto dei verbi "convincere", "stupire", "meravigliare", in un a me che, nella sua lapidarietà, a noi soddisfa!
Concludendo. Se è assolutamente certo che "a me questa cosa non convince" e frasi consimili sono errate, cosa fare? Le strade sono diverse.
- Sostituire i verbi che si costruiscono con il complemento oggetto con verbi che reggono il complemento di termine. Ad esempio, passare da "convincere" a "piacere", o "andare a genio".
- Rinunciare a porre troppa enfasi sul pronome personale optando per la forma atona, che non presenta problemi ("Questa cosa non mi convince").
- Passare, se possibile, dalla forma attiva a quella passiva che, in questo caso, ha il pregio di trasformarci in soggetto della nostra stessa convinzione o meraviglia ("Non sono convinto di questa cosa", "Sono meravigliato, stupito, sorpreso di ciò").
Se vi viene in mente qualche altra soluzione pratica, fatemelo sapere. Nel frattempo, vi sarà d'aiuto questa tabellina.
Costruzione errata | Alternativa corretta |
---|---|
A me questa cosa non convince | A me questa cosa non piace A me questa cosa non garba A me questa cosa non è gradita A me questa cosa non va a genio Questa cosa non mi convince Non ne sono convinto Non sono convinto di questa cosa |
A me questa cosa entusiasma A me questa cosa impressiona A me questa cosa stupisce | A me questa cosa piace A me questa cosa fa impressione Questa cosa mi entusiasma Questa cosa mi impressiona Questa cosa mi stupisce Sono entusiasta di questa cosa Sono impressionato Sono stupito |
A me questa cosa fa rabbrividire | A me questa cosa fa venire i brividi Questa cosa mi fa rabbrividire |
A me questa cosa colpisce | A me questa cosa fa meraviglia Questa cosa mi colpisce Sono colpito da questa cosa |
A me questa cosa fa star male | A me questa cosa dà il disgusto Questa cosa mi fa star male |
P.S. Un sentito ringraziamento a Massimo Birattari, caro amico oltre che autore di L'italiano. Corso di sopravvivenza , Ponte alle Grazie, 2000, per aver riletto anche questo articolo e averne discusso con me. Naturalmente, degli errori e delle imprecisioni in cui io posso essere incorso lui non ha proprio colpa!