Il congiuntivo come Lazzaro?
Vittorio Messori, in questo periodo, mi stimola oltre che una serie di interrogativi sull'interpretazione dei Vangeli, anche qualche riflessione grammaticale. Leggo, ad esempio, nel suo libro Patì sotto Ponzio Pilato? , SEI, Torino 2003, p. 55:
Faccio vedere il testo ai miei studenti del corso di Tecniche editoriali del master in copywriting e la maggioranza ritiene che Messori sbagli. Loro avrebbero scritto:
Segue inevitabile giaculatoria sulla morte del congiuntivo. Voi che cosa ne pensate?
Io penso che Messori abbia ragione. Non che mettere il congiuntivo sia proprio sbagliato, intendiamoci. Solo che l'indicativo conferma la sicurezza che Messori attribuisce a Flusser quando gli fa dire che "è certo". Si tratta, se volete, di una finezza, ma mi pare una finezza interessante. E che trova conferma in un profondo conoscitore della lingua italiana, Luciano Satta che, in un libro del 1994, Ma che modo. Uso e abuso del congiuntivo , Bompiani, Milano, nota che sia il verbo confermare, sia l'aggettivo certo vogliono l'indicativo.
I miei studenti erano portati al congiuntivo sia dal fatto che la frase era al passato, sia dalla doppia dipendenza (1° "ci confermava di" 2° "essere certo che"). Ora è senz'altro vero che sia il passato sia la dipendenza (come anche il fatto che la frase sia negativa) inducono a utilizzare il congiuntivo, ma la regola prima cui attenersi è sempre quella della certezza del fatto che si vuole esprimere. Tanto che, Satta stesso, consiglia e secondo me acutamente:
Credo che Dio esiste.
Perché, naturalmente, per colui che parla, l'esistenza di Dio non è una questione opinabile, ma una certezza.
Sul congiuntivo, ovviamente, ci sono molte altre questioni. Ad esempio, cosa dite di queste due frasi? Qual è quella giusta e perché?
Provai una sensazione che, credo, non è insolita
Fatemi sapere.
Andrea