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La poeta

Scrive Furio Colombo: "Rose Styron, poeta ingiustamente poco nota".
Scrive Maria Gabriella Canfarelli: "...storia di assenza e disfacimento che la poeta Alda Merini racconta a se stessa".
Trovo su Internet, parlando di Patrizia Valduga che " è per la poeta un fatto immanente"...
Insomma, tra i letterati si sta affermando l’idea che la parola "poeta" sia invariabile e che non abbia il femminile "poetessa"?

"Poetessa" è parola che risale al XIV secolo (ovvero, intorno al 1330 se ne trovano le prime tracce in testi scritti – c’è da chiedersi se prima non esisteva la parola o se non esistevano poetesse o se, ancora, quelle che esistevano venivano chiamate in altro modo... – molto più probabilmente la parola esisteva ancora prima solo che se ne sono perse le tracce scritte). È quindi una parola classica, accreditata da secoli e secoli di uso letterario e, certamente, anche solo per questa sua classicità e autorevolezza del tutto adeguata, sensata e, in fondo, preferibile a ogni neologismo.

Tuttavia, ultimamente, si sta diffondendo - timidamente, in effetti - l’uso di “poeta” come invariabile. Ma perché? A mio modo di vedere perché si tende (erratamente) a considerare dispregiativi tutti i femminili in -essa. Cosa che può essere vera in alcuni casi (vigilessa, giudicessa, avvocatessa), ma assolutamente non lo è in altri: studentessa, professoressa, dottoressa... poetessa.

Ma c’è anche un’esigenza comprensibile: è indubbio che alcuni sostantivi nascono al maschile: la cosa si spiega con ragioni storiche, sociali su cui non è il caso di dilungarsi. La domanda che ci si può legittimamente fare è: non possiamo dare un segnale anche linguistico del fatto che certe limitazioni sociali non hanno più ragione di esistere?
Se si risponde di sì (e io credo che si possa rispondere di sì, poiché la lingua, per sua natura, è in perpetua evoluzione), credo che introdurre il neologismo “poeta”, sostantivo invariabile per altro formato in modo linguisticamente corretto, sia accettabile.

“Poeta” femminile sarebbe un unicum? No, perché ci sono già parole derivanti dal greco (e “poeta” deriva direttamente dal greco) che sono invariabili: atleta, pediatra (e altri medici). O anche, “artista”, che non deriva dal greco ma che, almeno semanticamente, a “poeta” è molto vicino.

Certo, all’inizio l’orecchio si ribella, si tende magari a cercare un compromesso (Alda Merini, la poeta dell’amore folle e disperato). Ma con il tempo, se molti autorevoli scrittori dovessero propendere (chi per una ragione, chi per l’altra) per l’uso del termine “poeta” come invariabile, penso che il neologismo potrà essere accettato senza grossi problemi.