Le parole e le immagini
Questo concetto verrà approfondito in Les mots e les images, del 1929, costituito da una serie di vignette che mostrano i rapporti fra oggetto, parola e immagine. Disegni, scritte manuali e didascalie in caratteri tipografici si susseguono come in una lezione. Magritte esemplifica:
Nella vignetta che Menna (1975) considera la "proposizione più pertinente dal punto di vista semiotico", appaiono un cavallo, una tela che raffigura un cavallo e un uomo che pronuncia la parola cavallo, in un fumetto. Quello del quadro-nel-quadro è un tema caro a Magritte: basti pensare a opere come La condition humaine I e II, rispettivamente del 1933 e 1935. Anche qui si tratta di una mise en abîme (o di una catena di interpretanti): nella lettura della vignetta, noi interpretiamo il cavallo disegnato sulla tela come immagine (segno) - il contorno della tela sostenuta da un cavalletto denota la sua apprtenenza al mondo della rappresentazione -, mentre leggiamo il cavallo disegnato come realtà (referente). Eppure, l'unica differenza è data dalla presenza o meno della cornice. La didascalia ci avverte che un oggetto non svolge mai la stessa funzione del suo nome o della sua immagine. Ma l'oggetto, quello vero, non c'è. Perché, se quella non era una pipa, neanche questo è un cavallo (come l'uomo e la tela, d'altronde, non sono che di-segni). Torniamo alla catena degli interpretanti: il cavallo dipinto sulla tela è l'immagine (=interpretante) di una raffigurazione (=interpretante) di un oggetto (=referente: il cavallo vero, vivo e vegeto).